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Ottavio Bianchi: “Maradona era un ragazzo splendido”

Il doppio ex allenatore di Napoli e Atalanta, Ottavio Bianchi è intervenuto ai microfoni di Radio Punto Nuovo. Ecco cosa ha detto: “Doppia anima bergamasca e napoletana? Sotto il profilo professionale sono fuori da tutto. Mi piace seguire il calcio e le squadre dove ho lavorato. La mia carriera si è sempre svolta a Napoli da giocatore, allenatore e dirigente. Ho sempre diviso la professione con la quotidianità e la vita sociale. Possibile vincere a Napoli? Le altre sono società abituate a giocare a grandi livelli e a giocare per vincere, oltre che sapere riuscire a superare i momenti difficili. Quando giocavo io c’era la grande Inter, c’era il Milan poi, poi la Juventus che aveva una grande organizzazione societaria, che è tornata, vincendo gli ultimi nove campionati che non si vincono per caso. Quelle che vincono hanno una grossa base solida societaria. Le squadre che cominciano a scricchiolare sotto l’aspetto societario vanno in crisi anche sul piano del gioco. La scomparsa di Maradona? Il primo pensiero è stata una grossa tristezza. Me la porto ancora dietro quando penso a Diego. Immagine di Diego? Di Diego ricordo i nostri colloqui, le nostre situazioni da soli. Era un ragazzo splendido, la pressione a cui era sottoposto era notevole. Ragazzo tenero? Sì, bravissimo ragazzo. Allenamento? Io dichiaro da vent’anni queste cose. Vedere giocare Maradona, Careca ed altri era uno spettacolo. Da solo applaudivo, ma il mio ruolo m’impediva di esaltarlo. A volte mi giravo per non guardare. Tutte cose che faceva Diego le ripeteva dieci volte in una settimana. Entrate da mediano in partitina? Non lo beccavi mai. Era l’espressione totale del gioco del calcio. Gattuso? Io non lo conosco. Beato lui che ha molti anni meno di me. Non vedo il Napoli, non vedo come gioca o come si allena. Posso dare una risposta su quello che leggo. Mi sembra un bravo ragazzo, visto da fuori. Differenza tra Napoli, Roma e Milano? Non c’è una differenza. Io ho lavorato in tre società in emergenza, dove c’è sempre stato un cambio di proprietà. Cambio di proprietà vuol dire una gestione da allenatore completamente diversa. Forse solo a Como ho fatto l’allenatore, per il resto dovevo intervenire in situazioni diverse. Nei momenti di grande difficoltà erano tutte società che c’erano problemi: o dovevano vendere o la società aveva problemi di amministrazione. Io facevo un po’ di tutto. Non avevo un ruolo fisso. De Laurentiis mi piace come presidente? Non l’ho mai conosciuto e non ci ho mai avuto nulla a che fare. Il mio ritorno a Napoli? Quando ci si presenta ad una squadra che sta per retrocedere, di grande livello arrivi a dare una mano per un grande amico, non vai in punta di piedi e col fioretto in mano. Ti metti la corazza e spari su tutto quello che si muove. In quel momento non era una grande momento di ironia. Si rischiava la retrocessione e retrocedere con quella squadra sarebbe stato un dramma. Io mettevo in soggezione i giornalisti con i miei occhi? Quando m’incazzavo non erano azzurri, diventavano grigi. Ero molto criticato dal mio grande maestro Pesaola il quale quando andavamo fuori era pieno di battute. Mi diceva -sei il solito: arriva lì e parla. Tu parla e vedrai che non ti faranno domande stupide- I calciatori temevano i miei occhi? Non lo so, ma non ho mai voluto fare paura a nessuno. Se mi pestano i piedi, però, non è che reagisco molto bene. Di natura sono molto tranquillo”.

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Anastasia Marrapodi, laureanda in scienze Politiche. Collaboratrice spontanea di MundoNapoliSport24.