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Carlo Ancelotti: “De Laurentiis non mi ha mai chiesto di vincere”

L’allenatore del Napoli Carlo Ancelotti ha rilasciato un’intervista a Paolo Condò per la trasmissione I Signori del Calcio. Ecco le sue parole: “Mi vedevo con molti più limiti da calciatore, che non da allenatore perché il calciatore è molto responsabile di se stesso. Nel senso che se uno gioca bene o male si vede. Da allenatore puoi mascherare di più i limiti. Quindi mi sento con meno limiti da allenatore. Da giocatore mi vedevo lento, a volte poco lucido. Non sono un tipo nostalgico, ho fatto tutto quello che dovevo fare da giocatore ed ho beccato il periodo giusto in tutte le squadre dove sono stato. Liedolhm mi ha aiutato molto nella mia formazione come giocatore e professionista ed è stato molto attento a me a livello personale sia negli allenamenti che nella vita privata.

Mi piace utilizzare anche se in maniera diversa l’ironia del Barone. Era un personaggio sempre molto calmo, tranquillo e ironico. Non dava molta importanza all’evento della partita. Si riusciva alla’vento in maniera troppo nevrotica come a volte succede spesso adesso. A volte non si poteva parlare nemmeno nello spogliatoio, adesso c’è la musica ad alto volume. Non mi piace che la squadra mi arrivi al match con troppe tensione e pressione. L’allenatore deve essere bravo a gestire queste situazioni. Se vede la squadra troppo rilassata deve intervenire o se è troppo nervosa deve rasserenare l’ambiente. Liedolhm faceva raccontare le barzellette al dottore Alicicco che era un personaggio molto simpatico. Raramente Liedolhm parlava di tattica nello spogliatoio.

Negli anni alla Roma ovviamente il mio riferimento era Falcao un centrocampista. Dopo è arrivato Cerezo, lo stesso Di Bartolomei e Prohaska un esempio importante per come gestiva il gioco e le partite. Sacchi mi raccontava le bugie, ma lo vedeva che fossi più lento di Van Basten e meno veloce di Baresi. La prima volta che mi chiamò Berlusconi mi disse. “Ma lei è sicuro di stare bene”? . Risposi ovviamente di si. Le ginocchia erano apposto, l’anno passato giocai 55 partite di fila. Il gol a cui sono più legato e quando segnai in Milan-Real Madrid.

La prima esperienza che feci da allenatore fu a Reggio Emilia. Nelle prime 7 partite avevamo tre pareggi e 4 sconfitte e c’era la partita determinante contro il Venezia di Marchioro. Abbiamo vinto e d ali è iniziata la cavalcata. Penso comunque di essere stato in discussione. La nomea di calciatore mi ha portato avanti. Sono stato parecchie volte in discussione, non solo a Reggio Emilia, ma pure a Parma il primo anno siamo partiti malissimo. C’era aria di esonero e a dicembre ci fu una cena di Natale a casa Tanzi e i dirigenti dicevano bisogna a vincere a Milano, perché il pareggio non basta.

A Parma mi sono pentito perché feci giocare Zola da centrocampista e nel 4-4- 4-2 dissi no a Baggio. Fu frutto dell’inesperienza. La parte finale da calciatore e da allenatore mi sono basato a ciò che avevo imparato da Sacchi e allora sono rimasto legato alle mie conoscenze sacrificando la qualità della squadra. Da li ho iniziato a cambiare sistema. Il giocatore si deve sentire bene nella posizione giusta e non sacrificarsi al sistema. E’ il sistema che si deve adattare ai giocatori che hai. In quel periodo li pensavo esattamente al contrario, cambiai idea quando avevo Zidane uno dei giocatori più importanti d’Europa, il classico trequartista. Ho iniziato a giocare prima con 3 difensori, poi con il rombo di centrocampo. Bucci era il portiere della Nazionale, ma Buffon aveva un talento unico e tanta qualità. A quei tempi si tirava molto da fuori e aveva una sicurezza e un posizionamento unico tra i pali.

Alla Juventus sono stato accolto da tutti bene, nonostante fossi molto giovane, l’esperienza da calciatore mi ha aiutato. Zizou è sempre stato un ragazzo straordinario, molto timido da giocatore, parlava poco. Anche da assistente, avevamo un rapporto continuativo giocatore-allenatore proprio perché era molto introverso. Zidane ha sempre mostrato molto carisma soprattutto nel modo di approcciare. da calciatore non è riuscito a dimostrare tutto il suo talento che aveva e secondo me nel campionato italiano poteva fare molti più gol. la gestione personale dipende dal carattere delle persone, ogni allenatore mette a frutto le sue idee e le sue esperienze. Diciamo che fare l’assistente mio per un anno l’ha aiutato molto. Sicuramente nel rapporto con la Juve se avessi vinto lo scudetto a Perugia avrebbe rasserenato l’ambiente, invece dopo quella sconfitta si è incrinato ancora di più e la delusione convinse la società a cambiare. Non mi diede fastidio l’etichetta di eterno secondo, ma la delusione di non aver vinto alla Juventus c’era, però credo di aver fatto il massimo in quel periodo. Era una squadra ottima, ma il ciclo era finito. Tanto che fu ceduto Zidane e arrivarono Thuram, Buffon e Nedved, fu cambiata la fisionomia della squadra e si ripresa a vincere velocemente.

Il Milan è stata casa mia e pure a Roma mi sono trovato been. Quel giorno dovevo firmare materialmente con il Parma, mi chiamò Galliani e arrivai in rossonero. Devo dire la verità, non mi comportai bene con il Parma lo riconosco, ma il richiamo era forte. L’invenzione dell’albero di Natale è dipesa dalla grande qualità che avevo nella rosa con Pirlo, Seddorf, Rui Costa e Rivaldo. Poverino c’era solo Gattuso che correva per tutti. Il primo albero di natale fu a La Coruna una mossa difensiva, perché loro avevano due grandi centrocampisti di qualità ed io avevo optato su di loro una marcatura su di loro con due trequartisti. Non nasce come un’idea offensiva, ma difensiva. Quella partita di Liverppol del 2005 non l’ho più rivista, mi è capitato di rivederla facendo zapping su Sky l’ho riguardata con attenzione e facemmo un grande primo tempo. Ma anche nel secondo e ai tempi supplementari. Poi perdemmo al benzina perdevamo tempo e il Liverpool vinse ai rigori. Nel 2007 facemmo il tifo sfrenato per loro contro il Chelsea perché non può andare sempre male. Quella del 2005 la considerammo un’ingiustizia. La Champions League vinta del 2003 è quella che ha più sapore, perché mi ha tolto l’etichetta dell’eterno secondo, nel 2007 avevamo già vinto.

Con il Chelsea è stato un rapporto che andato scemato nel tempo. Con Abramovic prima di firmare, parlammo 8 volte, mi chiederono come giocavo e come mi rapportassi con chi non giocava. La società ha fatto been ad informarsi, non ti puoi mai fidare. In Inghilterra è stata un’esperienza bellissima. All’ epoca quel Chelsea aera una macchina da guerra, avevamo una squadra molto forte, facemmo più di 100 gol era composta da Terry, Lampard, Essien, Ballack, Drogba e Malouda.

Il Psg era una squadra con grande carica e entusiasmo che aveva voglia di investire in un nuovo progetto. Era una società che mi dava una grandissima motivazione. Poi io non volevo allenare per forza il Real Madrid, ma è capitato. Già da febbraio avevo rotto con il Psg e me ne sarei andato al 100%. A Parigi mi trovavo bene con i giocatori con Ibrahimovic. Allenare lui è la cosa più divertente del mondo, non hai nessun problema a livello caratteriale, di personalità, di serietà. Un giorno parlavo con Crespo e mi rispose: “E stato un grande attaccante, ama non ha mai fatto la differenza. Quest’ultima la fanno solo in tre Ronaldo, Messi ed Ibra. Da dentro Ronaldo è un ragazzo che va d’accordo con tutti ed è focalizzato su quello che deve fare in campo. da fuori i ha l’immagine di un extraterrestre, Io provi a farlo giocare da centravanti, ma rispose da sinistra vedo sempre la porta.

Il primo anno le cose con Rumenigge al Bayern Monaco sono andate abbastanza bene, con il ritorno di Hoenees le cose si sono complicate perché si doveva ringiovanire non solo la struttura della la rosa, ma anche la metodologia del lavoro. E’ stato uno scontro filosofico e alla fine ha vinto la conservazione. Il calcio tedesco era riconosciuto perché le squadre non mollavano mai, forti fisicamente, ma il calcio è cambiato. E’ molto più facile cambiare quando le cose vanno male e quando le cose vanno bene è più difficile accettare i cambiamenti come è successo a Napoli.

Ho scelto Napoli perché avevo voglia di tornare e in Italia non cerano tante squadre dove poter andare e poi sicuramente il progetto della società, la squadra m piaceva. Il Napoli di Sarri mi piaceva molto per caratteristiche, ho visto una squadra che può migliorare, crescere e vincere in Italia, non so però fra quanto tempo. Maradona è stato il giocatore più forte contro il quale abbia mai giocato, il suo Napoli era una grande squadra e c’era un grande ambiente. Quando venivamo a giocare qua era incredibile, cercavano di disturbarci in ogni maniera, la notte , durante il tragitto verso lo stadio. Poi in campo c’era grande rispetto e ci applaudirono perché meritammo di vincere. Erano bei duelli, c’era rivalità sportiva e nient’altro niente odio e niente violenza. Solo due grandi squadre che si affrontavano. Napoli è presa di mira, ma è un problema generalizzato. la violenza l”insulto fa parte solo della nostra cultura, tutta questa roba per chi viene dall’estero non va bene. Questo fatto di andare in giro allo stadio con la polizia deve finire.

La VAR ha ripulito in parte delle polemiche che ci sono ancora come è normale, ma la rivalità deve essere mantenuta perché questo paese è cresciuto sulla rivalità e sui campanili. Aurelio De Laurentiis è un presidente che non mi ha mai chiesto di vincere, ma solo di dare spettacolo fare una bella partita per rendere felici i tifosi. Sarri alla Juventus non mi facilita il lavoro, il mio lavoro è facile e non è complicato mi diverte”.

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Claudio Gervasio nato a Napoli. Ha conseguito il diploma di Liceo Lingustico, la laurea in scienze della Comunicazione all'Unisob con master di Scienze Investigative Criminologiche e politiche della Sicurezza. Appassionato di giornalismo, è un collaboratore spontaneo di MundoNapoliSport24